Una madre che ha superato la Disforia di Genere (DIG) si racconta per amore di suo figlio
"... PER PAURA DI FERIRLI NON NEGHIAMOGLI LA VERITA'"
Il
disturbo dell'identità di genere (spesso abbreviato in
DIG), detto anche
disforia di genere, è un disturbo in cui una persona ha una forte e persistente identificazione nel
sesso opposto a quello biologico cioè quello assegnato
anagraficamente alla nascita. Il DIG è indipendente dall'
orientamento sessuale e non va confuso con esso: infatti una
transessuale da maschio a femmina (
MtF) può essere
eterosessuale o
lesbica, così come un transessuale da femmina a maschio (
FtM) può essere eterosessuale o
gay.
------------------------------------ Testimonianza:
“Gender”: come trasformare un problema famigliare in stile di vita
Ho
superato i miei problemi di identità (DIG Disforia di Genere) in un
tempo dove la società ancora ti permetteva di superarli, trovando delle
naturali strategie psicologiche. Non venivano pubblicizzate tante
“alternative”, per mia fortuna, e l’unica possibilità era quella di
imparare ad adattarsi alla realtà.
La
maggior parte dei bambini con DIG, specialmente se aiutati a sanare le
dinamiche famigliari distorte, risolvono spontaneamente questo problema
in 2 modi: procedendo verso l’eterosessualità (un tempo ciò accadeva a
quasi tutti), oppure dirottando verso l’omosessualità (oggi più di
ieri). Questo tipo di bambina di cui sto parlando si vive
psicologicamente come un ragazzino, si riconosce in questa sua identità
manifestandolo in 2 modi principali: il primo nel vestirsi, giocare,
relazionarsi e fare tutto come un maschietto ( “io sono come loro”), il
secondo (successivo rispetto al precedente) , riuscendo a percepire
questa sua identità falsata anche nel relazionarsi con le bambine (“loro
sono diverse da me e questo conferma il mio sentirmi maschio”). Questo
secondo tipo di vissuto, rapportato a oggi e con la mentalità corrente,
può portare prima verso l’omosessualità e in seguito in alcuni casi
anche verso la transizione. Ovviamente per i maschi il discorso è
analogo, ma all’inverso.
Tornando
al mio passato, non trovando alternative diversificate né nella società
e tanto meno nella mia testa (ma nemmeno trovando l’aiuto dei genitori
nel cambiare le dinamiche famigliari), ho risolto il tutto in un modo
spontaneo ma anche un po’ contorto. Mi spiego. Dapprima mi sono trovata a
vivere i rapporti come un “omosessuale” uomo fa senza rendersene conto,
cioè prendevo dagli uomini la loro virilità che sentivo essermi stata
negata. In poche parole mi sentivo empaticamente appagata nel guardare e
toccare loro. Per i primi anni sono stati rapporti sempre solo vissuti a
senso unico, non permettevo loro né di toccarmi e né di spogliarmi, era
troppa la vergogna che provavo nel mostrarmi donna.
Però
con il tempo, vivendo empaticamente il loro piacere, sentendomi
desiderata dagli uomini, ho iniziato a vivere e sentire come
desiderabile e piacevole anche la mia identità femminile che sempre più
ha trovato il coraggio di emergere. Più alimentavo il loro piacere, più
aumentava anche il mio e nel contempo aumentava l’apprezzamento per
quello che ero veramente. Fin dalla mia più tenera età avevo iniziato a
capire che il mio desiderio ossessivo d'essere bambino corrispondeva
anche al timore inconscio di “deludere” i genitori ogni volta che ero
costretta a smascherarmi come bambina. LA MIA IDENTITA’ FALSATA ERA
LEGATA A LORO, ALL’IMPRESCINDIBILE BISOGNO D’ESSERE ACCETTATO E PERCIÒ
AMATO CHE HA IL BAMBINO DA PARTE DEI GENITORI. UN BISOGNO VITALE CHE
ARRIVA ANCHE A NEGARE LA PROPRIA IDENTITÀ SE INCONSCIAMENTE ANCHE
ERRONEAMENTE PERCEPISCE CHE COSÌ DEV’ESSERE PER ESSERE PIÙ AMATO.
LA
DIG (Disforia di Genere) infantile è prima di tutto un problema d’amore
e di accettazione, d’identità solo di conseguenza e in apparenza.
Quando mi chiedevo perché piangevo e volevo essere a tutti i costi un
maschio, non riuscivo a darmi risposte, ma quando mi arrabbiavo e volevo
andare contro questa mia identità imponendomi di fare cose da bambina,
magari chiedendo regali da femmina, appena mi immaginavo nel farlo
sentivo una sensazione frammista a vergogna e senso di deludere i
genitori e non lo facevo (deludere i genitori corrispondeva alla paura
di non essere più amata).
C’era
una madre dominante, non accogliente, quasi ostile che attuava
differenze discriminanti evidenti tra noi figlie femmine e il maschio
più piccolo. C’era un padre completamente assente, che però prendeva
sempre le mie difese, anche perché ero l’unica che lo aiutava nei lavori
; questo faceva arrabbiare ancora di più la mamma nei miei confronti.
Perfino apertamente mi diceva del suo disagio provato ogni volta che ero
presente in casa. Solo dopo la grande gioia di essere diventata mamma a
mia volta, questa ferita è guarita completamente da sola, anche nel
bisogno affettivo. Inutile dire che come sono spariti i miei problemi,
sono iniziati quelli del figlio.
Ero
stupita di come così piccolino cercasse la figura di un padre. Il padre
biologico è un uomo cresciuto a sua volta senza il padre, morto quando
lui aveva pochi mesi di vita, e quando gli ho dato la notizia
dell’arrivo di nostro figlio ha ritenuto, dopo aver appreso il mio
rifiuto alla sua richiesta di abortire (cosa che non accettò), di
andarsene sostenendo che il bambino sarebbe potuto crescere “bene come
lui” anche senza la presenza di un padre (?). Lui infatti era cresciuto
“così bene” che, non avendo sperimentato il valore di quella
importantissima figura di riferimento che è quella del padre, ha
lasciato anche suo figlio solo, inconsapevole di quanto lo stava così
penalizzando. (Avrei potuto obbligarlo a riconoscerlo, ma non se lo
meritava).
Questo
per sottolineare come l’assenza di un genitore si può ripercuotere
negativamente in modi molto diversificati nello sviluppo della persona.
Il padre biologico di mio figlio sarebbe stato uno di quei bambini che
sfuggono dalle statistiche dei figli con disagi dovuti alla mancanza di
un genitore: alle scuole superiori aveva vinto perfino un premio come
miglior allievo, ma, come dimostrato dalla realtà, le ripercussioni
negative possono emergere durante tutto l’arco della vita, magari quando
meno ce la si aspetta, e assumere molti volti.
Mio
figlio si affezionava ad ogni uomo che instaurava un qualche piccolo
rapporto con lui e appena scopriva che non c'era più ne soffriva
terribilmente, con manifestazioni di sofferenza anche molto evidenti in
più circostanze. Questo non succedeva mai con le donne che si occupavano
di lui mentre io lavoravo. In seguito mi sono legata ad un uomo che non
è riuscito a dargli tutte le piccole attenzioni che un vero padre
avrebbe dovuto dare… favorendo le 2 figlie femmine. Come avrei potuto
fargliene una colpa, quando sono stata io a mettere al mondo un figlio
senza il padre?! Piuttosto dovevo essergli grata per tutto ciò che in
ogni caso ha saputo dare.
Così
ho iniziato ad essere iper-protettiva, a cercare di separare il figlio
nella quotidianità da quest’uomo che era anche diventato suo padre per
adozione. Istintivamente la mia intenzione era quella di evitargli delle
sofferenze. Probabilmente alcune le ho evitate, ma ne ho causate altre.
Vedevo crescere nel figlio un'eccessiva vergogna verso la sua
sessualità, proprio come avevo vissuto anch’io fin dai primi anni di
vita, mentre per lui questo è iniziato dopo i 6, 7 anni, nella nuova
situazione famigliare e dopo la nascita della sorellina. Ora nessuno lo
doveva più vedere nemmeno in mutande e quando indossava un pigiama
aderente si piegava in avanti per nascondere le sue forme, tirando giù
il più possibile il sopra del pigiama.
Facendo
ricerche in base ai suoi strani comportamenti, trovai che avevano
un’analogia con i ragazzi che subiscono abusi sessuali. Eppure ero certa
che non era il suo caso. Successivamente in adolescenza, con tutti gli
atteggiamenti tipici di chi non accetta di vedersi trasformare in uomo,
ho appreso della “sua omosessualità”. Dal canto mio non mi ero
preoccupata più di quel tanto, perché credevo fosse solo una fase
passeggera adolescenziale, un volersi conformare per ribellione alla
nuova mentalità della società.
Ha
iniziato a frequentare “ambienti per adolescenti alternativi” di Milano
dove sopraggiungevano attempati uomini adulti che approfittavano dei
ragazzini (c’è un riscontro oggettivo anche nei verbali della procura
dei minori) e ne è talmente rimasto deluso che per anestetizzare il
tutto, si è buttato nella droga facendo precipitare la situazione in
modo molto tragico. Solo allora ho iniziato a fare ricerche nei web su
tutto quanto raccontavano a proposito di omosessualità. E’ stato
incredibilmente scioccante, come accendere non solo una lampadina, ma un
enorme faro nel buio.
Subito
dopo aver letto che alcune bambine con forti problemi d’identità
arrivano anche a fare la pipì in piedi, ho capito che ciò che ha
convissuto con me per i primi quasi 30 anni della mia vita si chiamava
disforia di genere. Non avevo mai saputo dare un nome a tutto quel che
avevo provato e vissuto, in un tempo dove la società ti obbligava a
reagire senza tanti se e ma. Ma nemmeno sapevo che fosse un problema di
molti, o anche solo un problema… ero semplicemente io, una bambina che
piangeva perché a tutti i costi voleva essere un maschietto, che
modellava il pube sperando che crescesse il pene e che credeva di essere
nata nel corpo sbagliato, che ha sempre giocato al calcio a casa, a
scuola e in seguito nelle squadre femminili anche di Hockey su ghiaccio,
senza mai fare la doccia con le altre ragazze fino ad oltre i 22, 23
anni, poiché pur avendo un corpo statuario, mi vergognavo nel mostrare
la mia femminilità.
Sono
stata per 4 anni alle scuole medie, con un maschio quale compagno di
banco. Avevo il culto della muscolatura e della forza fisica e ogni
giorno mi allenavo in tutti i modi per aumentarle. Mi piaceva battermi
con i ragazzi, sfidarli e vincere. Bucavo i genitali e i seni delle
Barbie di mia sorella con gli aghi provando piacere nel farlo e mi
chiedevo come mai facessero dei giocattoli così provocanti dal lato
sessuale e come mai la mia mamma e mia sorella sembravano non accorgersi
che erano erotiche e che gli facevo i buchi, mentre l'unico bambolotto
che ho accettato in regalo, era un bambino con il pene di plastica che
faceva la pipì, anche in quel caso l’ho voluto solo perché aveva il pene
e mi sembrava strano che la mamma me lo lasciasse prendere senza capire
che era quello lo scopo della mia scelta.
Già
attraverso questi 2 tipi di giocattoli sessuati al maschile e al
femminile percepivo me stessa nei 2 modi differenti in cui mi sarei
potuta realizzare sessualmente nel futuro, combinatamente alla DIG, il
primo nel percepirmi uomo che possiede il corpo di una donna (la Barbie
rappresentava una possibile apertura verso l’omosessualità, se avessi
saputo che esistevano questo tipo di persone) e il secondo vivevo quel
pene empaticamente come fosse il mio (il bambolotto invece rappresentava
un’apertura verso l’eterosessualità, anche se in verità era
un’eterosessualità contorta).
Proprio
per questo i bambini con una Disforia di Genere sviluppatasi in tenera
età, la maggior parte delle volte risolvono spontaneamente in
adolescenza questo problema evolvendolo in eterosessualità o
omosessualità. Creavo situazioni e giochi con i compagni dove li
spingevo a spogliarsi e mi stupivo del fatto che loro lo facevano
sempre, mentre io mai mi sarei spogliata davanti a loro. Evidentemente
loro non avevano problemi d’identità e vivevano le loro parti genitali
con naturalezza e senza eccessiva vergogna. Mentre io da una parte ero
attratta in modo ossessivo da tutto quanto era genitale e dall’altra mi
vergognavo tantissimo del mio sesso genetico femminile.
I
problemi d’identità dei bambini piccoli sono fortemente legati al sesso
genetico e partono da una presa di consapevolezza collegata ad un
rifiuto di quella parte anatomica percepita come non amabile e
apprezzabile per colpa delle dinamiche famigliari. Da quella presa di
consapevolezza seguita subito dal rifiuto scaturisce la Disforia di
Genere (DIG), dove il bambino inizia inconsciamente ma categoricamente
ad identificarsi nell’altro genere, non perché non esiste differenza tra
i generi, ma proprio perché cerca questa differenza al contrario.
Desideravo tantissimo avere il pene al punto che me lo sentivo (effetto
arto fantasma), per questo guardando un ragazzo che si masturba o
toccandolo, percepivo il suo piacere su di me.
Il
maschietto con una DIG cerca di spingere il pene all’interno di sè, non
lo vuole, lo nega. Ho ricordi vivissimi di tutti i pensieri che avevo e
le sensazioni che provavo fin da piccolissima, dovuti proprio al fatto
che, essendo la mia una crescita sofferta e anomala, continuamente mi
obbligavo a pormi domande e a scavare nei ricordi per cercare di dare un
senso a ciò che facevo, che sentivo e che volevo essere, il tutto
contrastando con forza ciò che vedevo con gli occhi essere invece
realmente.
Mia
madre sembrava contenta che avessi questa identità da maschio, si
arrabbiava solo quando non volevo mettere i vestiti da femmina che lei
stessa mi cuciva. Del resto anche lei mi ha sempre detto di non essere
stata felice di essere femmina e che avrebbe voluto essere maschio per
far felice suo padre, poiché erano in 3 sorelle. Anche mio padre
sembrava contento di com’ero, mi difendeva sempre.
Ho
sempre voluto gli stessi giocattoli di mio fratello: macchinine,
soldatini, palloni e pistole, e i miei genitori me li hanno sempre
comprati senza porsi problemi. La mamma in seguito ha iniziato a cucirmi
solo pantaloncini bermuda per la bella stagione. Vestita in quel modo
mi ricordava anche il mio maestro, incontrato dopo tanti anni. Oggi ci
sono libri di persone che hanno cambiato orientamento sessuale che
descrivono tutto, come fossero la fotocopia della nostra vita, mia e di
mio figlio. Ho capito i problemi di mio figlio; ogni riga che leggevo
confermava tutto quello che avevo osservato svilupparsi in lui nelle
varie fasi della crescita e tutto quello che avevo vissuto io stessa
confrontati con l’ambiente famigliare.
Questa
società riempie il mondo di menzogne e disinformazione al punto da
voler condurre un ragazzo che si trova in queste situazioni a prendere
un’unica direzione sofferta e forzata…Proprio come accadeva un tempo, ma
in senso totalmente opposto. Mio figlio, al contrario di me, ha saputo
subito dare un nome a ciò che sentiva, ma dietro quel nome esisteva solo
la falsa idea di essere nato così.
Abbiamo
parlato, litigato, l'ho messo davanti a tutta la verità sulla sua
infanzia, ricordandogli ogni particolare. Le fidanzatine all'asilo e i
primi anni di scuola, ricordi che sembrava aver rimosso. Gli ho
ricordato tutta l'evoluzione del suo cambiamento negli anni, di come si è
piegato sotto la sua sofferenza, con segni evidenti che però non ho
saputo interpretare per mancanza di conoscenza. L'ho ferito
profondamente e il suo dolore era il mio dolore, ma ho voluto andare
avanti fino in fondo e infine gli ho chiesto il perdono a mio nome e a
nome del papà. Non ho buttato le colpe sul padre, ma le ho divise tra
noi, come giusto. E' stato un momento veramente doloroso ma lo sentivo
necessario in nome della verità.
Quella
sera, in seguito alla discussione, si è chiuso in camera e non è più
uscito fino al giorno dopo. Sebbene dicesse di non credere alla
possibilità di cambiare, si è messo a leggere tantissimi libri sulle
neuroscienze cognitive e le filosofie della mente, e tutto questo gli ha
permesso di capire che il suo sè viene dalla mente; cambiando il modo
di pensare, immaginare e sognare, cambia anche la realtà. Lui credeva in
una forma radicale e totalizzante nelle cose che aveva letto, mentre io
preferivo credere in Dio, proprio per questo un po’ lo prendevo in
giro.
Comunque
ha iniziato veramente a cambiare modo di vivere, di relazionarsi con le
persone e dopo circa un anno (e dopo aver ricevuto una forte delusione
da parte di una ragazza che l’ha fatto sentire ferito e umiliato), forse
proprio pensando di non avere più nulla da perdere, ha trovato il
coraggio di fare quel balzo che ancora lo frenava verso un cambiamento
definitivo. Quello che sosteneva impossibile per se stesso, cioè l'avere
rapporti con una ragazza, si è in seguito avverato e ne è stato
felicissimo. Passava i giorni e le notti con lei e quando tornava a casa
sembrava ogni giorno un po’ più cresciuto. Per me è stato un
avvenimento di gioia, ovvero la gravidanza e l’arrivo di mio figlio, a
dare il tocco finale al mio personale cambiamento, mentre per mio figlio
è stata una forte delusione che lo ha portato a reagire positivamente.
Per
altri può essere un incontro casuale con una persona dell’altro sesso e
per altri ancora l’incontro con la fede. Non c’è un’unica strada che
porta al cambiamento, come non c’è un’unica strada che porta
all’omosessualità, sicuramente però la possibilità di cambiare esiste
per tutti, ma tutto dipende anche da come una persona vive
psicologicamente quell’avvenimento, con quanto entusiasmo, coerenza,
coraggio e determinazione.
Né
io né mio figlio ci siamo sottoposti a “terapie riparative”, però la
psiche e le informazioni hanno avuto un ruolo fondamentale nel
cambiamento. Questo tipo di terapie non sono altro che informazioni che
lavorano sulla psiche togliendo vecchie credenze sbagliate e mettendo
nuove conoscenze che in seguito permettono alla persona di vedere la
realtà sotto un’altra luce. Sono tutti dei cammini, dei processi di
maturazione e conoscenza che possono continuare anche per anni, fin
quando capita l’evento che dà la svolta definitiva. Solo quando si
arriva a vedere le cose diversamente si può cambiare, ma per vederle
diversamente bisogna conoscere molte verità di tante realtà che ci
riguardano. Un tempo erano nascoste dall’ignoranza e dalla mancanza di
conoscenza e oggi, purtroppo, a nasconderle è l’ideologia LGBT.
Fin
quando una persona crede di essere se stesso “gay” e di essere nato in
questo modo con una sorta di marchio geneticamente sigillato, non potrà
mai cambiare. Credo fortemente che l'aiuto dei genitori possa essere di
grande importanza in queste dinamiche. Non nell'obbligare il ragazzo a
prendere una decisione voluta dalla famiglia, ma scavando negli errori
in modo da poterli correggere, dando delle risposte e delle spiegazioni
ai figli e chiedendo loro anche il perdono se necessario. In quanto
donna di fede, credo anche fortemente che le preghiere dei genitori
vengano sempre ascoltate.
Oggi
posso tranquillamente confermare che a mio figlio piacciono le ragazze,
è felice e libero da droghe (non fuma nemmeno più le sigarette). Per
quel che concerne la mia storia, sono stata una persona con problemi di
identità così marcati dentro di me, da impedirmi di avere le
mestruazioni fino a 18 anni, dopo che un medico me le ha provocate con
delle pastiglie. Questo per dimostrare quanto la nostra mente possa
influenzare anche il corpo. A 10 anni ho anche finto di essere maschio
ed ho fatto la corte a delle bambine più piccole, spinta unicamente dal
bisogno così forte di sentirmi maschio.
Ricordo
ancora che credevo d’essere l’unica al mondo ad aver provato quel tipo
di esperienza psicologica, sulla quale mi ero posta molte domande
trovando l’unica risposta in quel mio fortissimo bisogno identitario
falsato. Per fortuna che a quell’età non sapevo esistessero persone che
si definiscono lesbiche o transgender altrimenti avrei creduto anch’io
di essere nata con quell’identità e non avrei potuto vivere la gioia di
essere madre e nemmeno la gioia di dare un padre a mio figlio. Questo
solo grazie alla mentalità, oggi ritenuta dai più, ottusa e arcaica,
della società in cui sono cresciuta.
Purtroppo
oggi come allora, manca l’aiuto e la corretta informazione che possa
dare ad un giovane la possibilità di capirsi. Un tempo non sapevi
nemmeno di avere un problema, ti facevi tante domande che restavano
senza risposta, pensavo d’essere nata nel corpo sbagliato …. Oggi non ti
poni più nemmeno domande, perché ti hanno già inculcato un’unica
risposta: - “Sei gay o transgender” – Peccato che sia la risposta
sbagliata.